Omaggio a Francesco Cilea
Composizioni per pianoforte
CILEA E VARAZZE
Francesco Cilea fissò definitivamente la sua residenza a Varazze nel 1943 dove si stabilì con la sua “incomparabile compagna” Rosa Lavarello; le nozze vi erano state celebrate il 26 giugno 1909. Sono trascorsi dunque cinquant’anni dalla scelta del grande Maestro che riconobbe in Varazze la sua terra d’elezione, senza mai negare il profondo legame con la nativa Palmi di Calabria. Il Comune, con una deliberazione del Consiglio, riunito in seduta straordinaria, gli conferì il 24 giugno 1950, la cittadinanza onoraria. Ricordiamo la motivazione:“Varazze, ospitando da oltre cinquant’anni il Maestro Francesco Cilea, ascrive ad onore e vanto di essere stata prescelta quale sua patria di adozione; nella serenità riposante di questa ligure sponda, il Maestro ha trascorso un’esistenza nobilmente operosa per l’arte, traendo ispirazione alle creazioni del suo genio musicale”. Nel ricordato cinquantenario vogliamo riproporne all’attenzione di tutti – come atto di concreta celebrazione – l’estro compositivo patrocinando il compact dell’opera pianistica, meno conosciuta, ma non per questo artisticamente meno rilevante. Anzi, per molti, le composizioni pianistiche saranno una vera scoperta per i colori, la modernità, la sapienza e il vigore della grande scuola napoletana nella quale Cilea crebbe sotto la guida di Maestri come Cesi e Martucci. L’omaggio a Cilea si vale dell’interpretazione della pianista Stefania Amedeo e costituisce una novità discografica nel quadro del ricupero di una parte spesso trascurata del nostro patrimonio musicale.
FRANCESCO CILEA (1866 – 1950)
Le composizioni per pianoforte
Lo spazio della musica strumentale in un’Italia ottocentesca tutta protesa a tessere le sorti del melodramma fu contornato – e conquistato – da compositoriche, nati e cresciuti all’ombra deiConservatori, spesero la loro vita nella didattica:forse è questo uno dei motivi per cui la “scuola”strumentale italiana, pur individuabile con chiarezza di tratti e di risultati, vanta una latitanza che solo la buona volontà di qualche casa discografica illuminata si impegna oggi a rompere.Si scopre, dal primo “motore” Beniamino Cesi in poi, passando per Bossi, Sinigaglia,Sgambati, Martucci fino a Casella e Pozzoli,un filo rosso che accomuna autori più o meno talentosi attorno a una passione fresca e fertile per la musica da camera e soprattutto pianistica. Le radici, è pur vero, si riscontrano altrove, cioè oltralpe, laddove la tradizione bachianobeethoveniano-brahmsiana risulta paradigma di indiscutibile autorità e inesauribile pozzo di ispirazione (e saccheggio): punto un po’ debole questo, ma originali si può anche diventare, ad esempio mostrando un onesto interesse per la tradizione francese.
Fu originale Francesco Cilea (Palmi 1866 – Varazze 1950), anch’egli vissuto all’ombra del conservatorio ma, a differenza degli altri citati, operista in sostanza convertito alla musica strumentale. Quel Paolo Serrao che formò un po’ tutta la “Giovane Scuola” fu determinante per la caratura lirica, ma dallo stesso Cesi e da Martucci, Cilea apprese i tesori germanici che in definitiva mai lo abbandonarono, nemmeno dopo il “gran rifiuto” a seguito di Gloria (1907). Da direttore di conservatorio, non più da operista, Cilea si orientò alla musica strumentale e al pianoforte, incrementando quei pochi numeri di catalogo che risalgono ancora al periodo della formazione con lavori non di ampio respiro, ma carichi di una cifra strumentale a tratti straordinaria. Nell’opera pianistica di Cilea – non è troppo parlare di “opera” – si legge chiaramente tutto: il gusto di un contrappunto agile e sobrio a sbilanciare una spinta al melodismo acceso, un occhio (pianisticamente parlando) a moduli effettistici del Chopin francese tenuti a lato e a servizio di una tecnica semplificata ma non semplice, acute e penetranti sortite in avanti quasi a tentare la comunione con le fresche innovazioni di Casella. Il tutto si consuma nell’effimero di un foglio d’album o nelle brevi raccolte di non più che Pezzi, in un intrattenimento nobilissimo che poco si concede alla dilapidazione del talento nel vizio da salotto, più concentrandosi invece nell’attenzione a dire tutto o quasi in pochi minuti al modo di Schumann (solo in qualche caso – i Fogli d’album o i tre pezzi ripresi da La Tilda – si registra qualche eccesso melodrammatico, ma è questione di naturale contaminazione). Tra la Berceuse (1895) e la Serenata a dispetto (1916) e oltre, si scioglie la trama pianistica di Cilea: basterebbe l’accostamento di questi due brani a rendere significativo il trascorrere del musicista dai toni più intimistici e raccolti a spazi dove lessico e sintassi musicali si aprono vie inesplorate, a volte scandagliando – come è anche nel caso della Suite Antica – i costrutti saporosamente barocchi. Accanto al Cilea che si affaccia con tenerezza al mondo dell’infanzia (nei Fogli d’album, L’arcolaio o la Danza ad esempio), ce n’è un altro tenuamente, quasi timorosamente “impressionista”: lo si legge nei Tre Pezzi op.43, corredati e modellati su tre liriche di Soffré, dove il linguaggio si fa tonalmente incerto e in cerca di poetiche corrispondenze, come pure nel libero fluire di risonanze nostalgiche siglato dalla dilatazione dello spazio espressivo in domini dove vissuti e memoria si confondono. Se Cilea rimane alla storia per l’Arlesiana e Adriana Lecouvreur, nondimeno la musicografia dovrà riconsiderare con più garbo una produzione strumentale che ha di diritto una collocazione di primo piano nelle realtà musicali del primo novecento, non solo per una banale e liquidante facilità che si riscontra nell’ispirazione ma per i suoi originali e conquistati contorni.